CSR e Influencer Marketing: un connubio possibile

Comunicare la sostenibilità e la Corporate Social Responsability è un tema sempre attuale. A margine del Salone della CSR, che da 10 anni è punto di riferimento in questo ambito, e in particolare in occasione di uno degli appuntamenti del programma “Extra” condotti da Rossella Sobrero (visibile a questo link), è stato recentemente presentato uno studio di The Fool, con l’obiettivo di sollecitare una riflessione sulla comunicazione e sulla capacità delle imprese di coinvolgere i propri stakeholders. Riflessione quanto mai necessaria, a fronte dell’importanza che gli italiani sembrano dare alla sostenibilità in tutte le sue dimensioni (secondo dati elaborati da GlobalWebIndex, quasi la metà dei nostri connazionali tra i 16 e i 64 anni chiede a un brand di essere eco-friendly e il 42% di essere socialmente responsabile), ma soprattutto dell’attuale, profonda, crisi di fiducia: gli italiani non si fidano più delle dichiarazioni di impegno dei brand e anche la fiducia nei media è ai minimi storici (sempre secondo GWI, il 76% degli italiani non si fida o si fida poco, soprattutto quando si parla di sostenibilità).

E allora, come possono i brand riconquistare la fiducia del proprio pubblico, per cercare di costruire realmente i cambiamenti verso i quali orientano le loro iniziative di CSR? Tecnologia e psicografia vengono in aiuto, consentendo di individuare al meglio le proprie audience e i target più sensibili a questi argomenti. Per raggiungere, convincere e motivare questi piccoli gruppi di stakeholder si può poi sfruttare l’efficacia di quei soggetti che già godono di fiducia presso un pubblico fidelizzato, con cui sono riusciti a creare un legame emotivo. Creator più che celebrity, gli influencer di oggi mettono i contenuti al centro di una modalità di comunicazione che assume toni amichevoli, confidenziali, rassicuranti e sposta il suo asse dalla dimensione commerciale a quella dei valori.

Ed è proprio dalla ricerca del contenuto giusto che i brand devono partire, basandosi su un’analisi approfondita delle proprie audience e su una conoscenza puntuale dei propri target, per individuare di conseguenza il giusto influencer. Sostenibilità e greenwashing, solidarietà e raccolte fondi, bodyshaming e bodypositive: ogni tema ha i propri pubblici e ogni pubblico ha i propri influencer, sostiene The Fool. Web listening, social intelligence e targeting sono le basi per costruire messaggi efficaci e individuare gli influencer più adatti, coerenti con lo stile comunicativo, con i valori e gli obiettivi dei brand e delle loro audience specifiche. “Ascoltare la rete e le conversazioni online e sui social, analizzare non solo quello che le persone dicono ma anche quello che fanno e come si muovono all’interno delle community, e infine capire quali sono i loro comportamenti, quali influencer seguono, ma anche conoscere la loro dieta mediatica, con quali programmi televisivi interagiscono maggiormente, quali sono le testate news che seguono di più, quali sono i contenuti ai quali sono maggiormente sensibili e che condividono maggiormente, sono attività fondamentali per costruire messaggi efficaci per queste persone e per trovare l’influencer efficace per parlare con loro da una posizione di fiducia, di credibilità” spiega Matteo Pietripaoli, Client Partner di The Fool.

Oggi i mercati sono community, è finita l’epoca della massmedialità. Per questo, se i brand vogliono creare reputazione e credibilità, devono muoversi diversamente e cercare di raggiungere pubblici sempre più mirati, con cui instaurare una relazione di fiducia.

“L’influencer è una risorsa e un rischio allo stesso tempo” prosegue Pietripaoli. “È una risorsa ed è una scelta che noi definiamo oramai inevitabile, anche se presenta alcuni rischi reputazionali che vanno mitigati, attraverso i dati e l’analisi”.

In questo contesto è evidente che il tema della credibilità e della fiducia è mutuale. Da un lato è importante che il brand selezioni il giusto influencer, quello più in linea con i propri valori ma anche con il proprio posizionamento e il proprio stile comunicativo. D’altro canto, anche l’influencer stesso mette in gioco la propria reputazione, nel momento in cui si associa a un brand. “Il vero asset è la credibilità, il rapporto di fiducia tra follower e influencer, tra follower e creator, non tanto quello tra brand e proprio pubblico, che è tutto da costruire” commenta Pietripaoli.

La fiducia è il cemento che lega le community, in cui le dimensioni non contano quanto l’attivismo, il livello di animazione e di interazione dei gruppi su determinati temi: “le persone costituiscono comunità, si scambiano opinioni, interagiscono, condividono valori e visioni del mondo, ed è un tipo di segmentazione molto più efficace di una classica segmentazione di marketing per fasce di età, sesso o caratteristiche demografiche”. La ricerca di The Fool (scaricabile qui), ad esempio, ha messo in luce come nell’ultimo anno sia letteralmente esploso il tema del greenwashing, diventato oggetto dell’interesse e delle conversazioni non solo dei cosiddetti “green activist” ma di pubblici sempre più ampi e differenziati. E, come sul greenwashing, anche le discussioni su altri temi sensibili, come l’inclusione e la diversity, ad esempio, si stanno diffondendo sempre di più, obbligando le aziende – e le istituzioni – a prendere posizione.

Un cambiamento nel mondo è possibile e forse è realizzabile anche grazie al connubio, altrettanto possibile, tra CSR e influencer marketing?

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